Da portiere a preparatore dei portieri, il passo è breve. Lo è stato sicuramente per Oreste La Sala, giovane irpino che ha avuto la possibilità di giocare al top del calcio dilettantistico ed ora occupa un ruolo importante all’interno dello staff tecnico del San Tommaso Calcio.
Dicevamo, un giovane estremo difensore che ha appeso presto i guanti al chiodo, senza però allontanarsi dalla casa di tutti i numeri uno: la porta. Da calciatore ad allenatore, con la speranza di far nascere sotto la sua ala un nuovo campione fra i pali e di raggiungere il sogno di una vita: il suo amato Avellino.
Abbiamo il piacere di parlare con un giovanissimo preparatore dei portieri, irpino Doc, ma come sei arrivato fin qui? Raccontaci un po’ la tua storia e perché hai smesso così presto con il calcio giocato.
“Buongiorno Caro Pietro. Inizierei col dire: “Irpino e me ne vanto“! Beh, inutile dirti, dato che come me indossi i guanti, che sin da piccolo, ho sempre e solo visto il calcio dalla porta. Cresciuto col mito di Chilavert, Higuita, del nostro Pagliucone nazionale e non per ultimo con i consigli del grande mister Pasquale Visconti che, ai tempi, giocava ancora a un certo livello. Il calcio giocato a un certo punto però, non mi dava più quello stimolo, quell’adrenalina che dallo spogliatoio mi portava alla porta. Questo breve o lungo tragitto che sia, è per il portiere il momento in cui si gioca il 50% della sua partita: concentrazione, adrenalina e tutto si chiude attorno. Non avendo più stimoli e con una forma fisica sempre più approssimativa a causa di un problema alla spalla e qualche altro intoppo, a 25 anni, più o meno, ho chiuso tutto in cantina.
Per quanto riguarda invece il discorso allenatore, a dire la verità, è stato tutto molto veloce: ho iniziato 2 anni fa in prima categoria, con la squadra del mio paese. Posto giusto, momento giusto! Dopo un bel campionato con relativa salvezza tranquilla, rinnovato l’accordo con il Manocalzati, mi sono ritrovato a preparare i ragazzi per il campionato di promozione e a seguire i “portierini” dell’ASD United Soccer (scuola calcio). Qualche malumore di troppo però mi ha spinto a fermarmi, continuando però a studiare per essere sempre pronto alle sfide calcistiche che avrei affrontato. Detto, fatto.
La chiamata di Mister Marcello De Stefano (che ringrazio infinitamente) per collaborare insieme per il campionato juniores nazionale. Ricordo la data: 22 gennaio! Nonostante fossi impegnato per sostenere un importante esame, risposi istantaneamente: “SÌ!”, senza nemmeno pensarci. Tempo qualche allenamento e mi sono ritrovato ad allenare i portieri della prima squadra. Un’emozione unica: il San Tommaso è stata la mia prima squadra ai tempi di mister Spica, oltre ad aver trascorso due anni indimenticabili prima dell’inizio della storica scalata alla D. Ho ritrovato quindi anche Annino Cucciniello: una persona fantastica! Era entusiasta del mio ruolo, almeno quanto me. Insomma, ero in un certo senso ritornato alle origini, in vesti diverse e questo mi dava quell’adrenalina pazzesca che avevo perso giocando.”
Cosa ti ha spinto a diventare preparatore dei portieri?
“Bella domanda. Sicuramente la leggenda che i portieri hanno un caratteraccio e un particolare modo di essere è vera; immagina quindi quanto debba amare questo ruolo per iniziare ad allenare questi ragazzi che entrano in campo ogni domenica con un fardello calcistico assai pesante. Il portiere è davvero un ruolo spinoso ed unico, a certi livelli non puoi permetterti di sbagliare alcun elemento, sia esso tattico, tecnico o prettamente psicologico. Una bella sfida insomma.
Negli anni scorsi sui campi di terra battuta, ho spesso riflettuto sul fatto che nonostante il mio ruolo fosse cruciale, non sempre avessi “il preparatore dei portieri“. Cosa assai grave. Preparatore dei portieri inteso come professionista che sa quello che fa e non il compagno di squadra, collega portiere o il primo pescato in strada che ti lancia il pallone quando lo dici tu. Il portiere è studio, evoluzione, coordinazione, solidità, sicurezza, forza, concentrazione. Convieni con me che a prepararlo non può essere una figura qualunque (e non parlo del patentino, ma della competenza vera e propria)?
Tutto questo insieme di cose e pensieri, mi ha spinto ad “assumermi” la responsabilità di seguire in toto i portieri. Sì, in toto perché c’è un aspetto psicologico non di poco conto nel nostro ruolo: saper dire e fare le cose giuste al momento giusto, dare il tempo di smaltire una brutta prestazione o di godere di un’ottima partita, entrare a volte anche nella testa del singolo per riuscire a perfezionare, correggere e stimolare a fare bene sempre col sorriso sulle labbra in un clima disteso puntando su una fiducia reciproca molto, molto importante. I miei mister mi dicevano sempre che in partita non c’era spazio per i problemi personali: se sbaglia l’attaccante sei sempre 0 a 0, se dovessi sbagliare tu…. È 1 a 0 per l’avversario. E allora ecco che sei lì a sentire i “tuoi ragazzi” parlare di ogni cosa, di confrontarsi, di limare gli spigoli, di combaciare perfettamente. La partita perfetta per un portiere ha mille variabili che devono bilanciarsi: dietro una parata c’è molto più che la forza o la bravura.”
3) Hai già diverse esperienze importanti alle spalle nel calcio dilettantistico. Hai fatto tutto da solo o c’è stata una persona che ti ha supportato particolarmente in questo percorso professionale?
“Sono cresciuto a pane e pallone come si usa dire! In primis mio nonno che in paese chiamavano affettuosamente “il mister” aveva dei gloriosi trascorsi nell’allora “quarta serie” nel ruolo di libero. Ecco insieme a mio zio Luca e mio padre, non perdevano mai una mia partita. Idem quando ho deciso di iniziare la mia avventura dalla panchina: erano lì, sempre! Pioggia o neve, erano sempre lì. E non mancavano mai le critiche se i miei ragazzi sbagliavano qualcosa: era sempre colpa mia (scherza, ndr)! E avevano ragione.
Mio nonno purtroppo è venuto a mancare il 16 agosto, proprio alla vigilia di un’amichevole di lusso contro la Cavese di mister Moriero e Mister Visconti e con l’Agropoli di Mister Centofanti, con cui ho un rapporto bellissimo. Diciamo che a questi livelli inizi a guardarti intorno, a confrontarti con persone che veramente il calcio lo insegnano. Sento il sostegno di Marcello De Stefano, che ha puntato su di me e credo spingendo anche per il mio “approdo” in prima squadra. Sicuramente Annino Cucciniello ha messo il suo zampino per “celebrare” questo matrimonio felice e spero duraturo nel calcio che conta.
Poi, mi piace pensare che il mio percorso è appena iniziato, quindi sicuramente avrò un supporto maggiore e persone che crederanno in me, ma mi sento di dire che il salto di qualità con il San Tommaso lo devo principalmente a Marcello ed Annino, che a mani basse hanno voluto puntare su di me.”
Al San Tommaso alleni una “batteria” di portieri molto giovani. Ti piacerebbe “gestire” anche un portiere più esperto o è meglio lavorare sulle qualità di un talento in erba?
“Certo, allenare Mario Landi che ha quasi 100 presenze in serie D, è davvero motivante, una bellissima esperienza per chi come me è all’inizio. Oltre Mario, a San Tommaso ho trovato dei giovani di cui sentiremo parlare sicuramente: atleti come Antonio Pone, Alessandro Dose, Kevin Arlia e Felice Bottone non capitano spesso nella “carriera” di un preparatore. Parliamo di ragazzi dediti in modo assoluto al calcio: professionisti con mentalità volta al sacrificio e all’impegno totale e che spesso mettono in difficoltà le mie scelte. Con ognuno di loro ho un rapporto molto intenso e fidati che è più difficile allenare ragazzi già tecnicamente formati che allenare i “portierini” che si affacciano per la prima volta al ruolo di portiere.
Credo quindi che ogni anno incontrerò il portiere esperto e il giovane di prospettiva e ancora in erba. Sarà sempre un lavoro di crescita “misto” volto a migliorare e dare continuità al portiere affermato e a cristallizzare il talento del portiere in erba.”
Qual è la prima cosa che dici a un tuo portiere al primo allenamento con lui? E qual è l’ultima prima di entrare in campo per una partita?
“Cerco sempre, al primo allenamento, di sedermi sotto la porta coi miei ragazzi iniziando a guadagnarmi il loro rispetto. Sì, proprio così: siamo noi allenatori che dobbiamo meritarci il loro rispetto perché loro in noi ripongono calcisticamente tutto quello che hanno per la stagione che inizia. Più che dire quindi, cerco di ascoltare per inquadrare l’atleta e lavorare sempre nel modo giusto.
A Manocalzati ricordo che un giorno sono arrivato in campo con un altoparlante portatile e ho svolto quasi tutta la sessione di allenamento ascoltando musica, per allentare la tensione da un lato, per dare quel colpo di adrenalina che mi serviva per quel tipo di allenamento, dall’altro. Risultato? Ragazzi sfiniti ma soddisfatti e felici! Prima di una partita cerco di creare una bolla attorno a me e l’atleta: cerco di allontanare i malumori e i pensieri che devono imperativamente restare in macchina nel parcheggio.
Poche raccomandazioni: chiedo solo di fare quello che si sa fare meglio, ossia dare tutto! Lascio poi indipendentemente dal risultato parlare lo sguardo senza proferire parola: la fine del primo tempo e la conclusione della partita sono momenti in cui il portiere sente le emozioni più forti! Che sia frustrazione per un errore o una sconfitta o la semplice gioia per il risultato positivo. Credo che non dire nulla, accompagnare con un gesto o uno sguardo attento queste emozioni non deconcentri il portiere… per le parole c’è tempo all’allenamento dove si analizza e si migliora.”
Come tutti, avrai sicuramente un sogno nel cassetto. Il tuo qual è attualmente?
“Certo. Se ci penso, due anni fa non credevo minimamente di ritornare a San Tommaso nel ruolo di preparatore dei portieri per giunta in serie D. In parte il mio sogno è avverato: il San Tommaso per infinite ragioni è sempre stata la mia squadra del cuore. Se dovessi sognare ancora più in grande, ti direi che quando ero piccolo e mio padre mi portava alle partite dell’Avellino ero ipnotizzato dal riscaldamento dei portieri: poche parole, tanti gesti. Guardavo ogni particolare! Ricordo Mister Visconti a quei tempi in forza all’Avellino, scaramanticamente abbracciava sempre il collega portiere. Ecco, un giorno sogno di allenare i portieri per la squadra della mia città davanti alla “Sud” gremita di gente e vivere con ansia le sorti della partita. Per il momento sono felice qui e mi godo il pubblico del San Tommaso che è sempre presente!”.
Prima di chiudere: hai un modello a cui ti ispiri? Quale dote ritieni indispensabile per un portiere al giorno d’oggi?
“È tutto “work in progress“. Sicuramente trovo ispirazione e “confronto” in guru come Enrico Limone a cui spesso scrivo dei miei dubbi; Pasquale Centofanti e il grande Fabio Moselli con cui ho un rapporto davvero fraterno e sicuramente mister Visconti che mi conosce da bambino. Costruisco allenamento dopo allenamento il mio metodo finchè non riuscirò a trovare la mia “one best way”.
Credo che i portieri moderni siano molto diversi da quelli che ero abituato a vedere. Sicuramente al giorno d’oggi la capacità podolica e la capacità di adattarsi al ritmo partita è fondamentale. Poi, non ultima ma fondamentale, è un po’ di sana pazzia agonistica che non deve mai mancare nei miei ragazzi!”.
Grazie Oreste, in bocca al lupo per la tua carriera!
“Grazie Pietro! Un abbraccio!”.
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