NON TI DISUNIRE

Questo non è un appello. Questo non è un messaggio del giorno dopo. Ma è alla stregua di un grido disperato. Anticipato, forse. Preventivo, anche. Un foglio che rischia di rimanere vuoto e privo di contenuto. Soprattutto dopo l’ennesima batosta. Immeritata per una tifoseria del genere, meritata per una squadra che non può permettersi un rendimento (e un atteggiamento) del genere dinanzi al proprio pubblico. Proprio lì, dove si sono sempre costruiti successi, salvezze e gioie di questa squadra.

Punto e a capo. Senza tracciare una linea, non ancora. Non siamo certo qui a dire “crediamo ancora nel primo posto”, diventato una chimera a 13 giornate dal termine, con 10 punti da recuperare alla capolista. O meglio, da tifosi ci crediamo pure. Ma un minimo di razionalità ci spinge a guardare oltre, preso atto di una pericolosa alternanza di risultati casa/trasferta e della sorprendente immaturità di una formazione che vanta esperienza e personalità, ma solo sulla carta.

Se poi non si trovano spiegazioni e, soprattutto, soluzioni alternative, allora le cose si complicano ulteriormente. Inaccettabile non vincere al “Partenio-Lombardi” dallo scorso 25 ottobre, con un organico che sfiora il valore di una squadra di Serie B. Inaccettabile per una squadra che ha fatto veder ben altre cose lontano dalle mura amiche e non può sciogliersi come neve al sole al primo schiaffo incassato. Non può permetterselo.  E questa non è pressione, è consapevolezza di essere (semicit.).

Un Avellino capace di giocarsi tutti i bonus a disposizione, compromettendo seriamente la corsa al primo posto del girone C. Ma un Avellino che adesso non può suicidarsi (sportivamente) solo perché vede troppa distanza tra sé e l’oasi nel deserto. Non può disunirsi. La squadra, così come l’ambiente. La tifoseria, le sue componenti. Si può chiedere la testa dell’allenatore, si possono chiedere cambiamenti all’interno dell’area tecnica, ma i calciatori restano e resteranno questi fino a fine stagione. Da qui non si scappa. E “scarsi” non sono, di certo.

Gli errori ci sono stati, è evidente. Si è stati bravi ad oscurarli finché si è potuto. Ma ora, disunirsi a che serve? Non lo abbiamo fatto lo scorso anno, in una delle stagioni più nere della storia dell’US Avellino, quando il numero di sconfitte e figuracce non faceva altro che aumentare. Parlare di obiettivi, adesso, potrebbe essere addirittura controproducente. Uno, però, lo devi fissare, per non perdere la bussola, l’orientamento, la testa. E a quel punto sì che rischi di disunirti.

Questa squadra, per quanto investito e per ciò che è stata costruita, ha l’obbligo di arrivare più vicina possibile alla vetta della classifica. Poi, sarà miracolo o saranno playoff. Bisogna giocarsela. E qualora dovesse arrivare un secondo o un terzo posto, ce la si giocherà con i vantaggi che non ebbe l’Avellino di Piero Braglia contro il Padova nel 2021. Ma ora è tempo di presente e di Potenza, senza dare più nulla di scontato. Lo abbiamo già fatto troppe volte e nel calcio non si vince con numeri e parole.

Non ci disuniamo.

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