Dalla terribile esperienza del terremoto del 1980 alla quarantena per superare il Coronavirus, vissuta in prima persona nella Regione Lombardia. È quanto ha raccontato il grande Juary ai microfoni de Il Corriere dello Sport, ricordando la sua esperienza con la maglia dell’Avellino e le tragedie del passato e del presente.
“Il terremoto del 1980? È stato il momento più brutto della mia vita. Ero giovane, non sapevo cosa fosse il terremoto. Un’esperienza sconvolgente, case crollate, gente senza vita ovunque. Differenze col Coronavirus? Il senso di impotenza è uguale ma sono situazioni diverse. Il terremoto è un boato improvviso che dura poco, lasciando danni incredibili, per poi darti la possibilità di intervenire ed aiutare.
Il virus, invece, mette tutto il mondo sulla stessa barca, non solo una città o una regione, tutti a combattere un nemico invisibile. Io vivo a Lodi adesso – per il lancio della Santos Academy in Italia – e sto vivendo questa situazione nella provincia che ha fatto registrare il primo caso positivo al Covid-19. Il destino ha voluto così: devo vivere queste due grandi tragedie in Italia e non in Brasile, dov’è ora la mia famiglia.
Cosa mi ha insegnato il terremoto dell’80? Mi ha insegnato veramente tanto, tutti abbiamo dato una mano a scavare tra le macerie. Abbiamo conosciuto meglio orgoglio e coraggio del popolo irpino. Il terremoto non fa distinzioni, questo virus attacca i più deboli.
Il mio futuro? Guardo avanti con ottimismo, ho 60 anni e mi sento ancora un bambino. Seguirò il consiglio del dottore che mi ha operato: lavorare come prima, per non ammalarmi davvero. La mia carriera? Una volta andato via da Avellino, dopo due splendide stagioni, passai all’Inter e poi mi trasferii ad Ascoli e Cremona, prima di vincere la Champions League con il Porto. Tornassi indietro, però, non andrei più via, solo ad Avellino mi sono sentito un Re.”
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