Ci sono momenti che tirano fuori il meglio di noi, attimi che resteranno impressi nella nostra mente per il resto della vita. È quanto ha raccontato ai nostri microfoni Valerio Luciano, membro dell’associazione Vera, partito in pullman da Avellino verso il confine tra Polonia e Ucraina, insieme all’assessore del Comune di Avellino Stefano Luongo, all’associazione Nuova Dimensione e al direttore di Y Avellino, Aldo Pio Feoli, per un gesto di solidarietà che la comunità avellinese non dimenticherà mai.
4036 chilometri per riportare in Italia, in Campania, in Irpinia, 36 persone che sono scappate dalla guerra, dai loro averi, dalle loro famiglie. La fuga causata da un conflitto che li vede partecipi solo come vittime innocenti. Come vi abbiamo raccontato durante il tragitto, abbiamo visto con i nostri occhi e toccato con le nostre mani cosa significa la “parola” guerra. Gli abbracci tra familiari che non si sa quando potranno rivedersi, i pianti delle madri, i volti dei bambini.
Con Valerio, ai nostri microfoni, durante una chiacchierata telefonica al rientro in Irpinia, abbiamo ripercorso alcune delle tappe più emozionanti di questo viaggio.
4036 chilometri per dare una nuova speranza a 36 persone. Quali sono le immagini del viaggio al confine con l’Ucraina che porterete per sempre con voi?
“È stata una traversata lunga e impegnativa. Circa 30 ore di viaggio per arrivare a Przemsyl, località polacca al confine con l’Ucraina. Quando è scoppiato il conflitto, noi dell’associazione Vera, ci siamo subito interrogati su cosa avremmo potuto fare per apportare il nostro contributo e mostrare il nostro sostegno alla causa. Alla fine, senza troppe esitazioni, nonostante le titubanze familiari, ho subito sposato la proposta di Stefano e ci siamo personalmente recati al confine. Lì si respira un’aria diversa. Un clima greve, sconvolgente e a tratti surreale. Quando siamo arrivati nella mega struttura adibita a centro di prima accoglienza per consegnare i beni di prima necessità raccolti dalle associazioni irpine, sembrava di essere catapultati in una dimensione spettrale. Lontana dai comfort a cui siamo abituati qui. Migliaia di persone, per lo più donne e bambini, ammassati in questo spazio. Nei loro occhi si rinveniva tanta disperazione. Abbiamo toccato con mano le conseguenze della guerra: strazio, angoscia e dolore. Quando però abbiamo incrociato gli sguardi delle persone che erano lì ad attenderci, un bagliore di luce ha squarciato il velo della disperazione che qualche attimo prima sembrava essere predominante. Quel bagliore di luce, la speranza delle mamme che vedevano in noi la fonte di salvezza per i propri piccoli, ha incredibilmente azzerato la stanchezza accumulata durante il viaggio”.
La prima cosa che hai pensato all’ingresso del centro umanitario di Przemsyl, dove persone che fino a ieri avevano una casa, una famiglia, un lavoro, oggi si ritrovano distesi con addosso soltanto una coperta, in un capannone, aspettando che tutto finisca.
“Le ore di viaggio non potevano essere fini a se stesse. I chilometri trascorsi sono stati un viaggio innanzitutto verso il nostro mondo interiore. Entrato nel centro umanitario, nonostante il trambusto e il forte odore imperanti, ho avvertito un fruttuoso silenzio che ha consentito alla mia coscienza di affiorare con una consapevolezza innovata, rinvigorita. Siamo spesso abituati a lamentarci del superfluo, conduciamo sovente battaglie inutili, intratteniamo rapporti conflittuali coi nostri simili che traggono linfa da screzi per lo più insulsi. Abbiamo tanto e non sappiamo apprezzarlo. Lì nonostante la precarietá dilagante, nonostante ognuno di loro avesse difronte un futuro incerto, non sapendo se e quando sará per loro possibile ritornare a casa per riabbracciare gli uomini costretti a restare sul campo di guerra per difendere strenuamente la propria patria, nonostante tutto questo, si toccava plasticamente un rigoglioso spirito di comunità. E vivere in comunità significa condividere al contempo gioie e dolori, felicità e fardelli. A Przemsyl c’era unione, nel dolore, c’era unione, nella speranza.
La gioia, gli abbracci coi familiari, le scene di sollievo una volta arrivati in Irpinia, scesi da quel pullman. Avete capito in quel momento l’importanza del vostro gesto?
“Pagherei per rivedere gli occhi commossi delle donne, delle loro bambine e bambini, che con dignitoso silenzio e con mirabile garbo si apprestavano a salire sul nostro autobus. Solo due persone, tra loro, conoscevano l’italiano. Eppure, nonostante l’incomunicabilità verbale, ogni qualvolta i nostri sguardi si intrecciavano con i loro, riuscivamo ad intrattenere dialoghi duraturi. Nei loro occhi la gratitudine regnava sovrana. Io personalmente ho trascorso molte ore a giocare con Mia, una bambina di 5 anni. Salutarla a Nola è stato un colpo al cuore. Mi sembrava di averla conosciuta da sempre. La dolcezza e la gioia dei suoi occhi, una volta entrati in Italia, è stata la ricompensa più grande che potessi desiderare”.
Ovviamente, oltre alle emozioni, c’è stato tanto lavoro ed organizzazione. Dai tamponi a bordo alla consegna dei beni e al recupero delle persone in due città diverse. Come è stato organizzato il tutto?
Fortunatamente non ci sono stati intoppi o imprevisti. Grazie anche alla professionalità degli autisti della Rossetti Group, abbiamo di volta in volta raggiunto le diverse località senza grossi problemi. La prima tappa per la consegna di una parte dei beni è avvenuta a Kozy. Qui ad attenderci alcuni volontari di una associazione ragguagliati anzitempo del nostro arrivo da Ocsana, donna Ucraina da anni stabilitasi in Italia ma attualmente impegnata a Leopoli per supportare i suoi connazionali. Una volta scaricata la merce ci siamo diretti a Cracovia, dove abbiamo fatto salire a bordo circa venti persone. La restante parte delle persone invece ci aspettava a Przemsyl. Con noi il prezioso dottore Alessandro Capozzi che oltre ad avere un cuore immenso è uno stimato farmacista. Grazie alla sua professionalità è stato possibile eseguire uno screening sottoponendo i passeggeri a tampone. Considerate le irrisorie percentuali di gente vaccinata in Ucraina, il rischio di far salire a bordo qualcuno positivo al Covid c’era ed era alto. Fortunatamente sono risultati tutti negativi. Una volta ultimato lo screening ci eravamo organizzati per distribuire leccornie a tutti i passeggeri con particolare riguardo ai più piccoli. Inoltre per rendere meno estenuante il viaggio ai bambini avevamo portato con noi peluche, cartoncini e pastelli. Vedere quei bambini serafici, intenti a disegnare e colorare è stata una emozione inenarrabile. Michele, bambino di 7 anni, che parlava molto bene l’inglese ha disegnato un sole. Alla vista di questo disegno commuovermi è stato un automatismo irrefrenabile. Quel sole è il motivo per cui le associazioni Vera e Nuova dimensione hanno organizzato questa traversata. Quel sole sono i bambini tratti in salvo. Quel sole è il futuro. Quel sole è la speranza che è l’ultima a morire”.
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