Intervistato in esclusiva da gianlucadimarzio.com, mister Giovanni Bucaro ha parlato della sua seconda esperienza sulla panchina dell’Avellino Calcio e del duro periodo trascorso senza allenare. Il tecnico originario di Palermo, però, ha avuto la possibilità di partire dagli albori della sua carriera, dalla Sicilia a Sorrento, passando per il Foggia del “Boemo” Zeman e per l’incredibile amore per il gioco del calcio.
Di seguito le dichiarazioni rilasciate da mister Bucaro, attuale allenatore della Calcio Avellino SSD, ai microfoni di gianlucadimarzio.com.
LA VITA DA CALCIATORE
“Chi ha il privilegio di giocare a calcio a grandi livelli è segnato da un dono. Sono cresciuto a pane e pallone. Leggemmo su un giornale che il Palermo avrebbe concesso dei provini ad alcuni ragazzi al Barbera. Per noi era un sogno giocare lì. Tutto è iniziato così. Una mia professoressa diceva sempre a mia madre che non facevo altro che parlare di Platini.
L’approdo in Campania? Fu una chiamata che mi ha totalmente cambiato la vita. Ricordo che a mia madre venne l’esaurimento nervoso. Mi mancava casa, spesso ho pensato di lasciare. Sorrento è una città che ti vuole bene. Che ti abbraccia, ti coccola e ti protegge. Il ricordo più bello? Avevo 16 anni e Papadopulo mi lanciò in C2“.
Il Foggia? Fu un passo importante della mia carriera. Si capiva che c’erano programmi importanti. Per me era ed è il calcio. Nessuno giocava come noi all’epoca. E l’artefice di tutto era Zeman. Aveva un carisma unico che non ho mai trovato in nessuno. Le sue esercitazioni, la sua metodologia potevano sembrare cose di fantascienza, invece è arrivato prima di tutti su determinati concetti. Lui ti faceva lavorare tantissimo per farti capire che soffrendo si sarebbero potuti raggiungere grandi risultati. Ti diceva poco ma ti faceva capire molto. Quando sono andato a giocare in altre squadre avevo la sensazione che altri allenatori conoscevano poco rispetto a lui.
Un aneddoto? Eravamo in ritiro e ricordo che io ed altri miei compagni eravamo cotti, non riuscivamo più a correre. Ci mandò via e dopo mezzo’ora ci richiamò dicendoci di ricominciare a correre”.
LA VITA DA ALLENATORE
“Ho iniziato a Campobello di Mazara in Serie D. Ci salvammo in una situazione societaria disperata. Il ritorno in Campania? Allenare a Pomigliano D’Arco è un’esperienza che mi ha segnato. Due anni magnifici. Avremmo anche potuto vincere il campionato. La scelta di Manfredonia? Mi voleva il Trapani in D. Rifiutai e mi chiesero un consiglio su una possibile scelta: indicai Boscaglia. Sappiamo poi come è andata a finire”.
Il mio arrivo alla Juventus? Il mio nome lo fece Roberto Marta scopritore di talenti all’Atalanta. Mi chiamò Giovanni Rossi e chiudemmo subito la trattativa. La Juve mi ha davvero aperto un mondo. Dico sempre che fino a quel momento avevo fatto pallone, alla Juve ho fatto calcio. È una macchina perfetta. La scoperta di Spinazzola? Era poco più di un bambino, e non aveva molta voglia di allenarsi. Dissi a Paratici che sarebbe potuto essere da Juve. Vederlo in Champions con l’Atletico è stato un orgoglio. Poi perdemmo 5-0 con il Varese nelle final eight, una sconfitta del genere alla Juventus non te la perdonano”.
“Avevo in squadra tanti ragazzi di talento. Lui nasceva come ala, ma aveva una gamba diversa rispetto agli altri. Il suo non era un cross da Serie C. Il derby contro il Benevento. A fine primo tempo perdevamo due a zero senza sapere neanche noi come. Nella ripresa pareggiammo ma avremmo potuto anche ribaltarla. Sorrento 2.0? Scelsi con la testa, sarei dovuto restare fermo e aspettare. Il Savoia? C’era un problema al giorno, una società inesistente che ha illuso tutti. Questo è un mondo che ad un certo punto può diventare perverso. Io ho fatto come il gambero.
La seconda esperienza ad Avellino? È scattata di nuovo quella scintilla giusta. Senza quella non si può allenare. Mi ha chiamato il ds Musa, tutto è avvenuto in piena notte. L’Avellino è sempre stato dentro di me. Sono entrato in uno spogliatoio depresso. Io e Daniele Cinelli abbiamo recuperato la squadra soprattutto da un punto di vista mentale. Siamo pronti, forti. Non abbiamo paura di nessuno. Abbiamo una media punti di 2,45 e resteremo attaccati a questo campionato con tutte le nostre forze. Dobbiamo concentrare tutte le energie nelle ultime partite per regalare una gioia a questi tifosi che meritano altri palcoscenici.
IL SOGNO DI BUCARO
Il mio sogno? È sempre quello di allenare in Serie A, ed è anche la mia forza. Ci credo con tutto me stesso e ci crederò sempre. Perchè in fondo è proprio vero, i sogni restano sempre quella scintilla che ci trasmette il coraggio di credere nelle cose più belle.”
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