Se è vero che in Italia siamo tutti allenatori, soprattutto quando le cose non girano per il verso giusto, e se è vero che i moduli sono (anche) numeri da interpretare, è altrettanto vero che i sistemi di gioco non possono essere considerati soltanto numeri. La crisi d’identità dell’Avellino di Michele Pazienza, in questo 2024, è senza dubbio figlia di una serie di concause, ma sembra esserci un peccato originale. Una sorta di idiosincrasia tra le attuali scelte di formazione e il mercato di gennaio.
Questione di moduli, caratteristiche e scelte. Una campagna trasferimenti condotta sulla scorta del 3-5-2 che aveva creato e consolidato le certezze di questo Avellino, con particolare riferimento alla squadra “formato trasferta”, per poi ritrovarsi a giocare con il 4-3-3. O meglio, prima con un 3-4-2-1, visto in casa contro il Messina (sconfitta di misura, ndr), e successivamente con una difesa a quattro e un tridente in avanti. Un 4-3-3 che ha ben figurato (solo) in trasferta al “Viviani”, in un secondo tempo che costringeva l’Avellino ad annullare una situazione di svantaggio e ha visto un Potenza abbassarsi sensibilmente, fino a schiacciarsi nei suoi 16 metri. Poi, il vuoto (o quasi). Un cambio di sistema dovuto alla presenza, e all’ingaggio, di Michele D’Ausilio, non certo il capro espiatorio del momento e di questa situazione. La società biancoverde, però, si era rituffata sul mercato degli attaccanti per cercare un jolly offensivo, in grado di fornire alternative a mister Pazienza, soprattutto in corso d’opera e, in particolare, in partite bloccate come si sono rivelate quelle con Sorrento, Messina e Potenza. Così come doveva essere con Starita, così dovrebbe essere con D’Ausilio. Quest’ultimo, sotto la gestione Pazienza a Cerignola, è stato spesso utilizzato come “Super-Sub”, una sorta di “sesto uomo” nel basket: subentrando 21 volte su 34, ha fatto vedere le cose migliori.
Ribadiamo, non è solo questione di numeri. Ma l’impressione è che l’Avellino, e lo stesso Pazienza, si sia fossilizzato su un acerbo 4-3-3, abiurando troppo presto quanto fatto e costruito in un intero girone d’andata. Peraltro, il modulo del “nuovo” Avellino ha finito per escludere calciatori in grande spolvero come Manuel Ricciardi, che per caratteristiche non garantisce equilibrio in una linea a quattro, e leader del calibro di Thiago Cionek, reduce da due panchine consecutive. Tutto ciò, per un solo calciatore, originariamente preso per interpretare il ruolo di “vice Sgarbi” o jolly a partita in corso, in grado di trasformare il collaudato 3-5-2 in 3-4-2-1 (con un centrocampista in meno) o 4-3-3 (con la sostituzione di un centrale difensivo). Se poi, gli esterni di turno faticano maledettamente a saltare l’uomo e non hanno piani B, nulla può girare nel verso giusto, al di là dei numeri.
Domani, la sfida al Catania di Cristiano Lucarelli e una squalifica di Cancellotti che potrebbe portare Pazienza a tornare al famigerato 3-5-2, su cui si è lavorato anche nella sessione di gennaio. Chiarirsi le idee per ritrovare compattezza, solidità difensiva e soluzioni offensive. Ma più di tutto, vittorie e sorrisi.
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